Il mese di ottobre ha solitamente una cattiva reputazione e viene sempre affrontato con una certa apprensione da parte degli investitori. Pure in questo caso non è stato da meno. I principali mercati azionari hanno chiuso al ribasso, mantenendo un certo clima di incertezza e volatilità. Le motivazioni del peggioramento del tono dei mercati sono state:
- Lo scoppio di un nuovo conflitto tra il popolo israeliano e quello palestinese che ha evidenziato ancora una volta la fragilità della situazione in Medio Oriente.
- Il peggioramento della congiuntura globale, specialmente di Europa e Cina.
- Il livello elevato dei rendimenti obbligazionari, con il Treasury americano che ha toccato il picco del 5%.
Come detto inizialmente i principali listini mondiali, dopo un tentativo di recupero nei primi giorni del mese, hanno chiuso tutti al ribasso. Negli Stati Uniti indice S&P 500 ha chiuso a -2.20% e Nasdaq a -3.50%. In Europa si non registrate performance negativa del -1.80% per l’Euro Stoxx50, del -2.80% per il DAX e del-2.30% per il FTSE MIB. Più colpita la borsa svizzera che chiude il mese con un -4.40%. Sofferenza anche per il mercato asiatico con Hang Seng -2.30%, Nikkei -3.30% e CSI 300 -2.90%. Unica nota positiva è stato l’oro che ha guadagnato oltre il 6% nel corso del mese.
La serie di riunioni delle banche centrali si è conclusa con una pausa dai rialzi dei tassi, ritenuti su un livello adeguato tale da mantenere condizioni finanziarie sufficientemente restrittive. Per la seconda volta consecutiva, la Federal Reserve ha optato per la stabilità dei tassi d’interesse. Questi mantengono il loro intervallo tra il 5,25% e il 5,50%. Tale decisione era ampiamente prevista dal mercato, e di conseguenza, l’attenzione degli investitori si è spostata sul futuro percorso della politica monetaria negli Stati Uniti, considerando anche l’incremento recente dei rendimenti obbligazionari, con i titoli di stato decennali sopra il 5%, un livello mai visto dal 2007. Inoltre, i dati macroeconomici indicano che l’inflazione negli Stati Uniti, seppur in rallentamento, si è attestata al 3,7% a settembre, ancora superiore al target del 2%. Anche la Banca Centrale Europea non è intervenuta ed ha confermato il proprio tasso ufficiale al 4,50%. Sebbene l’inflazione sia ancora oltre la fascia target dei banchieri centrali, il forte rallentamento congiunturale e il nuovo aumento dei supplementi d’interesse negli Stati periferici lasciano poco margine per un ulteriore irrigidimento della politica monetaria.